A bocce ferme

A bocce ferme. Non tanto perché oggi possiamo farlo, mancando poche ore al referendum che domenica metterà fine al dibattito a volte costruttivo, a tratti stucchevole, sul sì o il no alla riforma costituzionale prossima ventura. Qui la metafora non c'entra e le bocce sono quelle vere, di pietra, un gioco che per almeno un paio di secoli ha costituito il passatempo prediletto per generazioni di uomini, non esclusivamente anziani, come erroneamente si tende a credere ora.

La foto qui sotto lo dimostra e l'abbiamo scelta per almeno un altro paio di motivi, entrambi legati in qualche modo al classicismo dell'antica Grecia. Il primo è la posa plastica di colui che sta tirando ("andando a punto", per usare l'espressione corretta) e che potrebbe essere presa a modello per una statua di Fidia, se soltanto le bocce e non il lancio del disco o del giavellotto fossero state uno sport dell'Ellade classica. Il secondo, più prosaico, riguarda invece un indumento popolare che più popolare non si può: la canottiera.

E così scrivendo chiudiamo l'asola dei nostri pensieri, tornando alla politica, al tempo in cui essa divenne simbolo di appartenenza e posta a contraltare del rampantismo da doppio petto e da cravatta. Era l'inizio degli anni Novanta quando la canottiera - quella classica, con le spalline strette, quasi sempre bianca o al massimo azzurra - venne "sdoganata", dando legittimazione a una larga fetta di popolo, che con disinvoltura e senza apparente consapevolezza la portava. Proprio come nei miti della Grecia classica però, il punto esatto del massimo successo coincise con la sua condanna, passando dall'ostentazione a sfregio nei salotti buoni della politica all'ultimo ripiano della cabina armadio, spesso dimenticata.

Giorgio
Giorgio Bardaglio Giornalista

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